Perle d’arte nelle chiese di Roma
di Franco Di Pofi

ROMA. In epoca romana Piazza del Popolo era una sperduta zona di campagna. In un angolo di essa sembra vi fosse la tomba di Nerone. Una leggenda narra di un grande albero di noce intorno al quale danzavano streghe e demoni; una piccola comunità chiese a papa Pasquale II di liberarli di essi. Questi bruciò il noce, disseppellì le ceneri di Nerone e gettò il tutto nel Tevere. Nel 1099 si costruì una cappella. La chiesa attuale è del 1471 e si deve a Sisto IV. Prima chiesa rinascimentale di Roma. Ha mantenuto la facciata, ma è stata modificata, internamente, nel XVII secolo secondo lo stile barocco. È ricca di capolavori di grandissimi artisti. Ne cito tre: Raffaello, Caravaggio, Bernini.
La seconda cappella della navata sinistra è la cappella Chigi; la progettò Raffaello per Agostino Chigi, ricco banchiere senese. Lo stesso dell’omonimo palazzo dove ora siede la Meloni. La piccola cappella è uno scrigno di preziosità artistiche.
Parlerò di un capolavoro di Gianlorenzo Bernini. 100 anni dopo Raffaello, Bernini venne incaricato di completare i lavori. Erano rimaste due nicchie da riempire; vedremo in che modo le riempì.
Doveva rappresentare un episodio del vecchio testamento: Abacuc e l’angelo
Daniele nella fossa dei leoni. Bernini tra le varie versioni, scelse la seguente: era Daniele un giovane profeta ebreo, prigioniero di Dario, re dei persiani. Per la capacità d’interpretare i sogni, il giovane divenne satrapo (governatore) e il preferito del re. Malgrado il suo alto incarico, Daniele continuava a pregare il Dio d’Israele; i suoi colleghi, invidiosi, lo denunciarono e il re fu costretto a condannarlo a morte.
Fece gettare il giovane nella fossa dei leoni, sperando che il Dio di Daniele lo salvasse.
Il Signore, infatti, calma i leoni. Ma il profeta doveva pur mangiare!
In giudea c’era un anziano profeta: Abacuc. Iddio lo chiamò e gli disse che sarebbe dovuto andare a Babilonia per portare cibo a Daniele. L’anziano gli rispose «Signore io non so dove sia Daniele, né dove si trovi Babilonia».

Iddio, allora, ordina a un angelo di condurre Abacuc a Babilonia, anche, se fosse necessario, prendendolo per i capelli.
Bernini ha due piccole nicchie per fare tutto ciò. Sento dire da anni che il barocco sarebbe pesante. No! Il barocco è spettacolo, fascino, estrosità,virtuosismo. Un pezzo di marmo diventa un essere vivente esprimendo, così, tutti i sentimenti.
Quì Bernini va oltre: fa interagire i personaggi e, se sai ascoltare, li fa dialogare. Dispone le nicchie una difronte all’altra; in una Abacuc e l’angelo e nell’altra Daniele. L’ultima volta che ho visitato la cappella Chigi, mi è sembrato di udire le voci dei due. Osservate bene le foto. Abacuc è pronto ad alzarsi (si deduce dalla mano intorno al manico del cesto); l’angelo, appena atterrato, lo apostrofa così :
«Abacuc vieni con me a Babilonia e porta quello che hai nel cesto a Daniele». Abacuc «Scherzi? Io non so dov’è Babilonia e non conosco nessun Daniele; nella cesta ho pane e minestra per i mietitori laggiù,in quella direzione». E indica, come potete vedere, con l’indice.
E l’angelo, prendendolo per I capelli, con un sorrisetto malizioso, «Abacuc che c’è stai a provà? Dobbiamo andare nell’altra direzione». E indica dove c’è Daniele che prega. (Non sarà uno stile da critico d’arte, ma spero di aver reso l’idea in modo divertente).
Due piccole nicchie e poco profonde; Bernini crea lo spazio sbalzando le figure fuori di esse. La resa è straordinaria e consente l’animazione delle stesse; sono chiuse in una nicchia e, allo spettatore appaiono in aperta campagna. Infatti Abacuc andava dai vignaioli e riposa su di un pezzo di roccia. Nell’anziano profeta ritrovo la lezione classica: il corpo vigoroso, il volto, i capelli, la simmetria delle sculture, ricordano il gruppo del “Laocoonte” (musei vaticani). Se doveste andare in detti musei, non potete mancarlo; è lì che nasce la scultura di Michelangelo, Bernini e tutti i grandi scultori italiani.
Daniele nella fossa dei leoni
Bernini slancia il corpo di Daniele, ma anche il panneggio sembra fluttuare pur in assenza di spazio. Il ginocchio destro, proteso in avanti, ci indica che il giovane cerca di fuggire, ma, un attimo dopo, lo piega per pregare, mentre le mani sono già giunte. Bernini fissa questo momento carico di tensione e movimento. Lo sguardo rivolto al cielo ci rende la profondità della fossa.
Lo scalpello di Gianlorenzo stupisce nel corpo atletico di Daniele, delizia nel leone con la lingua fuori, nelle ali dell’angelo, nella roccia. Il cesto è così ben scolpito da sembrare una pittura.
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