Risorse del Pnrr destinate al potenziamento del sistema sanitario
PNRR. Questo scenario, e l’esperienza ancora viva delle difficoltà nell’emergenza Coronavirus, hanno portato a destinare una parte dei fondi del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) sul capitolo sanitario, e in particolare sulla rete territoriale di assistenza.
8,2%, le risorse del Pnrr destinate al potenziamento del sistema sanitario.
La missione 6 del piano è infatti dedicata alla salute. Si tratta di 15,63 miliardi di euro divisi in due componenti. La prima, da 7 miliardi di euro, si concentra sul rafforzamento dell’assistenza sanitaria territoriale. In particolare sulle reti di prossimità, la telemedicina e la cura domiciliare. La seconda, 8,63 miliardi, prevede progetti di digitalizzazione e innovazione del sistema sanitario, insieme ad investimenti sulla ricerca.
La componente rivolta al rafforzamento della sanità territoriale si basa su una strategia in 2 tempi. Il primo, è l’approvazione di una riforma dell’intero sistema di assistenza, con l’obiettivo di riorganizzarlo, renderlo omogeneo in tutto il paese e stabilire così un nuovo assetto dell’offerta territoriale. Una scadenza prevista per la metà del 2022, attuata nel maggio dello scorso anno con l’approvazione del decreto ministeriale 77/2022.

La nuova sanità territoriale si basa su un insieme articolato di strutture.
A partire dalle case della comunità – luoghi di prossimità a cui i cittadini possono accedere per l’assistenza primaria – cui il Pnrr destina 2 miliardi di euro. Vi è poi l’istituzione degli ospedali di comunità – piccole strutture (20 posti letto ogni 100mila abitanti) per consentire un’accoglienza intermedia tra il ricovero a casa e quello in ospedale (1 miliardo di euro).
I restanti 4 miliardi, sono rivolti all’investimento sulla telemedicina, in modo da rendere la casa del paziente un vero e proprio luogo di cura, e alla creazione delle centrali operative territoriali. Parliamo di oltre 600 presidi, uno per distretto sanitario, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza.
Case e ospedali di comunità: i nuovi capisaldi del sistema
In questo nuovo assetto, case e ospedali di comunità sono chiamati a rappresentare il primo presidio della sanità territoriale rivolta al paziente.
In particolare le prime, le case della comunità: un presidio fisico di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per i bisogni di assistenza sanitaria. Si distinguono tra hub (quelle principali che erogano servizi di assistenza primaria, attività specialistiche e di diagnostica di base) e spoke, che offrono unicamente servizi di assistenza primaria.
1.430, le case della comunità che si prevede di costituire con i fondi Pnrr.
In questi punti, facilmente accessibili sul territorio, il paziente potrà trovare servizi come gli ambulatori di medici di famiglia e pediatri di libera scelta. Ma l’obiettivo è soprattutto costruire un’unica sede fisica dove il cittadino possa essere assistito da un’equipe multidisciplinare, in grado di prenderlo in carico nei diversi bisogni.
Questo gruppo integrato di professionisti, in base a una valutazione trasversale di natura clinica, funzionale e sociale della persona, potrà definire un “progetto di assistenza individuale integrata (Pai),
contenente l’indicazione degli interventi modulati secondo l’intensità del bisogno” (cfr. con legge di bilancio 2022, dossier camera 2023). Sulla carta, una vera e propria rivoluzione in termini di integrazione dei servizi sociali, assistenziali e sanitari che operano sul territorio.
“Il Pai individua altresì le responsabilità, i compiti e le modalità di svolgimento dell’attività degli operatori sanitari, sociali e assistenziali che intervengono nella presa in carico della persona, nonché l’apporto della famiglia e degli altri soggetti che collaborano alla sua realizzazione. La programmazione degli interventi e la presa in carico si avvalgono del raccordo informativo, anche telematico, con l’Inps.”
– Legge 234/2021, art. 1 c. 163
Gli standard organizzativi delle case della comunità variano tra hub e spoke, e vanno distinti tra le previsioni obbligatorie (stabilite dall’allegato 2 del Dm 77/2022) e quelle facoltative (allegato 1 dello stesso decreto).
Il secondo presidio del nuovo sistema di sanità territoriale sono gli ospedali di comunità. Si tratta di strutture pensate per rispondere a una necessità che negli anni si è fatta pressante: avere un luogo intermedio tra le dimissioni al domicilio del paziente e il ricovero ospedaliero.
In base al decreto 77, questi presidi dovrebbero evitare ricoveri impropri e “favorire dimissioni protette in luoghi più idonei al prevalere di fabbisogni sociosanitari, di stabilizzazione clinica, di recupero funzionale e dell’autonomia e più prossimi al domicilio”.
400, gli ospedali di comunità da costruire entro il 2026. I progetti attuali ne prevedono oltre 430.
Si tratta di strutture operative 7 giorni su 7, con un assetto organizzativo di 20 posti letto ogni 100mila abitanti. Ciascun ospedale di comunità dotato di 20 posti dovrà prevedere una serie di dotazioni di
tipo tecnologico-strutturale, ad esempio con locali per la riabilitazione, nonché standard minimi di personale.
In primo luogo attraverso l’assistenza infermieristica, da garantire 7 giorni su 7, 24 ore su 24, con un numero di infermieri compreso tra 7 e 9, di cui 1 coordinatore. E poi 4-6 operatori sociosanitari, 1-2 unità di altro personale sanitario con funzioni riabilitative e un medico per 4,5 ore al giorno 6 giorni su 7.
Grazie per aver letto questo post, se ti fa piacere iscriviti alla newsletter di UNOeTRE.it! Usa il modulo nella spalla destra "Ricevi la newsletter"