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Anche negli USA temevano l'allargamento della NATO

COMMENTI

Le guerre si potrebbero sempre evitare, ma non sempre succede

di Mario Boffo*
NO guerre BlogdelleStelle minQuando scoppia una guerra, scoppia anche la guerra della retorica; e anche nel caso della guerra in Ucraina le parti in conflitto non sono state da meno, sbandierando, secondo lo schieramento, la difesa delle nazionalità o della democrazia, il retaggio della Storia o il diritto dei popoli, il confronto fra sistemi e il raffronto dei rispettivi valori. Tutte cose che hanno certo importanza nei destini umani, ma che nel confronto geopolitico vengono per lo più usati in termini di propaganda. Da sempre, e in varie forme, i paesi in guerra hanno proclamato: “Dio è con noi!”

Nel “territorio geopolitico”, però, paesi e alleanze, compresi quelli che “esportano la democrazia”, non si muovono a difesa di principi o ideali; si muovono piuttosto allo scopo di sostenere il proprio potere strategico, valorizzarlo e difenderlo, perché è sulla base del posizionamento strategico che si possono promuovere gli interessi nazionali o di schieramento, o il relativo modello politico-sociale; elementi che servono a loro volta a progredire, nelle rispettive sfere d’azione, nel controllo o nella partecipazione al controllo delle relazioni internazionali.
Questo non vuol dire che la sfera geopolitica sia un ambiente di brutale e selvaggia affermazione della forza con metodi violenti, anche se purtroppo talvolta è così. L’ambiente geopolitico è stato spesso sede di confronti non guerreggiati, anzi cooperativi, fra schieramenti e paesi a diverso orientamento o semplicemente portatori di differenti interessi strategici. Paradossalmente potremmo affermare che la stessa guerra fredda è stata un contesto entro il quale, nonostante la forte contrapposizione, ma grazie alla deterrenza nucleare, la geopolitica ha evitato il peggio.

Detto questo, e premesso che l’aggressore è sempre da condannare, che Putin è un autocrate che opera anche a sostegno della propria posizione e di proprie motivazioni interne (come tutti, del resto), e che avrebbe forse approfittato di qualsiasi situazione come pretesto per le proprie iniziative, cercare di comprendere come si sia arrivati alla guerra in Ucraina e alla pesantissima minaccia che questa pone alla pace mondiale, non vuol dire perseguire giustificazioni o accuse, né distribuire torti e ragioni, categorie che non hanno luogo in geopolitica. Serve invece a capire i processi che hanno portato a questo e come si sarebbe potuto fare meglio; non certo per criticare o studiare il passato, ma per preparare il futuro.

Propongo volentieri l’articolo di cui al link qui sotto. L’autore è Robert Hunter, che fu Rappresentante Permanente degli Stati Uniti alla NATO fra il 1993 e il 1998, gli anni in cui cominciarono gli allargamenti dell’Alleanza e nei quali sono da identificare i prodromi degli attuali rapporti con la Russia. In quegli stessi anni anche io servivo presso la Rappresentanza Permanente d’Italia presso l’Alleanza Atlantica, come membro del Comitato Politico, e in questa veste ebbi l’opportunità di seguire i temi dell’allargamento e dei rapporti della NATO con la Russia. Hunter, che non può essere certo sospettato di partigianeria pro-russa, illustra nei dettagli come dallo scioglimento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia si sia arrivati alla situazione attuale, attraverso successive amministrazioni americane e attraverso gli eventi internazionali che hanno caratterizzato gli ultimi decenni. Egli cita anche circostanze in cui la geopolitica ha espresso risultati saggi, piuttosto che bellicosi: la Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (CSCE) e i vari accordi per il controllo degli armamenti che imposero elementi di stabilità fra schieramenti che pure si guardavano in cagnesco. L’autore cita anche la famosa crisi dei missili che Mosca tentò di collocare a Cuba nel 1962 come caso di grande pericolo in cui le parti seppero dimostrare equilibrio e saggezza. Invito a leggere con attenzione l’articolo di Hunter, e al fine di evitare ripetizioni nei concetti in esso espressi, mi limiterò a qualche considerazione aggiuntiva basata sulla mia diretta esperienza di quegli anni.

Quando Michail Gorbačëv sciolse l’Unione Sovietica, e soprattutto il Patto di Varsavia, si pose anche nell’area occidentale il tema della persistente utilità o meno della NATO. L’Alleanza, allora guidata dal Segretario Generale Manfred Wörner, decise di continuare a esistere, identificando altre sfide strategiche da cui dover difendere i paesi membri e avviando l’Euro-Atlantic Partnership Council (EAPC), che comprendeva tutti i paesi dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), e la Partnership for Peace (PFP), un programma di collaborazione e scambi con gli antichi avversari, personalizzato paese per paese, basato su varie forme di cooperazione e omologazione di sistemi, e finalizzato allo stabilimento di mutua fiducia fra paesi un tempo contrapposti. A entrambe le iniziative prese parte anche la Russia, per quanto alla PFP con un proprio schema di cooperazione con la NATO. Benché la PFP fosse anche orientata a possibili future adesioni all’Alleanza dei paesi partner, nulla avrebbe impedito di considerare quest’ipotesi come una semplice petizione di principio, considerato che il programma avrebbe potuto evolversi verso un più ampio e consolidato ambiente di cooperazione per la pace nel quale tutti i precedenti avversari, compresi Stati Uniti e Russia, avrebbero potuto esercitare un ruolo. Gli stati un tempo contrapposti, infatti, si consultavano congiuntamente nell’EAPC, erano tutti membri di un’organizzazione di pace e sicurezza come l’OSCE e coltivavano programmi cooperativi con l’Alleanza.

Alla fine del 1994, invece, gli Stati Uniti imposero una decisa accelerazione: Washington intendeva procedere subito all’allargamento dell’Alleanza, cominciando con Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. I membri europei, preoccupati per le reazioni russe, riuscirono a dilazionare i tempi. Si procedette quindi a uno studio sull’allargamento della NATO inteso a definire le condizioni cui gli aspiranti all’adesione avrebbero dovuto attenersi e si pensò anche alla formulazione di uno schema di rapporti speciali di consultazione e cooperazione con la Russia, inteso a coinvolgere Mosca in un’ampia congerie di temi di sicurezza al fine di prevenirne il possibile senso di isolamento e di emarginazione. Hunter indica bene i vari momenti delle successive ondate di allargamento e dell’evoluzione dei rapporti fra NATO e Russia. Egli indica anche come al momento della riunificazione della Germania Washington abbia assicurato a Mosca, più o meno implicitamente, che nessun altro paese del precedente Patto di Varsavia sarebbe entrato a far parte della NATO, e come questa rassicurazione abbia avuto altri momenti, benché collegata a successive ondate di adesioni che giunsero a riguardare addirittura i Paesi Baltici, che erano stati parte integrante dell’Unione Sovietica. Stando così le cose, nulla avrebbe logicamente impedito anche ad altri paesi, come Ucraina e Georgia, di entrare a un certo punto nell’Alleanza, e questa possibilità – ma soprattutto il modo come ci si sarebbe eventualmente arrivati – ha preoccupato la Russia al punto da portarla agli eventi cui stiamo assistendo.

La NATO, e soprattutto il suo “azionista di maggioranza”, gli Stati Uniti, che hanno vinto la guerra fredda, ottenendo la resa totale della Russia di Gorbačëv, hanno voluto procedere, finché è stato loro possibile, a quanti più avanzamenti possibile nel territorio dell’avversario al fine di consolidare al massimo il proprio vantaggio strategico, tradendo in tal modo anche le precedenti rassicurazioni. A dire il vero, anche se le rassicurazioni non ci fossero state, non sarebbe stato difficile comprendere che certi equilibri forse sorgenti, o almeno tentati, nei primi anni Novanta, si sarebbero rotti con conseguenze ingovernabili. La svolta autoritaria nella Russia di Putin ha forse peggiorato le cose, ma la crisi geopolitica si sarebbe comunque verificata.

Nel desidero di stravincere (perché eravamo alla “fine della Storia”, perché il modello economico neoliberista a guida americana si doveva affermare su tutto il pianeta, perché ci doveva essere un’unica e sola potenza globale…) l’area euro-atlantica ha perso una grande occasione di mettere in equilibrio la propria sicurezza, e quello che è mancato è stata la saggezza dei vincitori: la resa dell’Unione Sovietica e l’avvio delle istituzioni e dei programmi congiunti sopra menzionati avrebbero potuto essere infatti la base per un Europa di pace; l’Alleanza (e gli Stati Uniti) piuttosto che rispondere al desiderio (del resto ampiamente stimolato) di adesione dei paesi ex-satelliti dell’URSS, avrebbero potuto invece coinvolgerli tutti, insieme alla Russia, in un più ampio progetto di sicurezza basato sulla filosofia dell’OSCE e sul riconoscimento di tutti come importanti attori della stabilità mondiale. Perché è pur vero, come viene commentato in questi giorni, che ciascun paese ha diritto a scegliere le proprie alleanze, ma non è certo scritto che le alleanze abbiano il dovere di accettarli. Questi temi furono dibattuti all’interno dell’Alleanza Atlantica, alla ricerca di una nuova architettura di sicurezza, fra paesi ex-satelliti dell’Unione Sovietica che insistevano per l’adesione e gli alleati europei che avrebbero valutato volentieri formule innovative e più inclusive di tutti gli interessi strategici sul terreno. Prevalse però l’orientamento dell’”azionista di maggioranza”, timoroso che una nuova eventuale architettura di sicurezza avrebbe indebolito la NATO, e con essa potere di Washington in Europa.

Quando nel 1866 i prussiani sbaragliarono le forze austro-ungariche a Sadowa, a conclusione della guerra austro-prussiana, Bismarck trattenne i propri generali, che volevano marciare su Vienna, nella convinzione (e nella lungimirante saggezza) che si deve vincere, ma non si deve umiliare l’avversario, perché in tal modo si genera odio e spirito di rivalsa (Germania, unificata dalla Prussia, e Impero Austro-Ungarico, nonostante la guerra precedente, furono poi alleate). Negli stessi anni, il governo degli Stati Uniti offriva continuamente alle nazioni indiane trattati e assicurazioni che venivano regolarmente disattesi, nel perseguimento di una “frontiera” indistinta e sempre più avanzata, nel permanente allargamento del proprio potere e nel conseguente restringimento della sfera avversaria; analogia più che suggestiva con i nostri tempi.

In Europa ora la frittata è fatta. Evocare principi e ideali non serve a niente, e se si vuole preparare la pace dopo questa tragedia ucraina, bisogna riflettere agli errori commessi; tenendo presente che il blocco euro-atlantico non è l’unico centro di potere in Europa; che la Russia pretende, con qualche ragione, garanzie e ruolo; che l’Occidente non è più in grado di sostenere i lutti di una guerra che lo coinvolga direttamente; che una deprecata guerra mondiale contemplerebbe quasi certamente l’uso di armi nucleari; e che la Cina assiste intanto tranquilla al procedere degli eventi.

02/03/2022 - Ucraina. Le guerre si potrebbero sempre evitare, anche se non sempre succede – Transform! Italia (transform-italia.it)
https://transform-italia.it/ucraina-le-guerre-si-potrebbero-sempre-evitare-anche-se-non-sempre-succede/

 

dott. MarioBoffo 400 min*Mario Boffo. Ambasciatore esperto con una comprovata storia di lavoro nel mondo degli affari e nel settore degli affari internazionali. Competente in Relazioni Internazionali, Strategia Aziendale, Analisi delle Politiche, Inglese, Organizzazioni Internazionali e Italiano. Forte professionista della comunità e dei servizi sociali con un Master in Scienze Politiche e Governo presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II".

 

 

 

 

 

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La NATO arriverà a 130 km da San Pietroburgo

GEOPOLITICA. OPINIONI

Allargamento della NATO a Svezia e Finlandia contro il volere dello zar di Russia

di Fausto Pellecchia
UE StatiMembri più Nato oggi e candidati 390 minOsservando la cartina dell’Europa, si comprende immediatamente perché l’imminente adesione della Finlandia e della Svezia alla Nato possa condurre all’esasperazione Vladimir Putin. Il mar Baltico, dalla Danimarca, che ne chiude l’accesso a ovest, si distende per 365.000 km quadrati tra la Germania, la Polonia e i Paesi baltici a sud, mentre la Svezia e la Finlandia lo stringono a tenaglia al nord. Infine, ad est, al fondo del golfo di Finlandia, c’è anche la Russia, con San Pietroburgo – città natale di Putin. Quando la Finlandia, con i suoi 1.300 km di frontiera con la Russia, e la Svezia, due paesi ben armati e addestrati, entreranno nell’Alleanza atlantica, il mar Baltico sarà per la Nato nulla più che uno stagno domestico.

Conoscendo la passione che lo stesso Vladimir Vladimirovitch riserva alle vicende storiche della grande Russia, si può immaginare ancor meglio il suo attuale furore. Svezia e Finlandia non sono dei Paesi confinanti qualsiasi per l’Impero russo. Ingaggiando una lunga guerra con la prima, dal 1700 al 1721, Pietro il Grande modernizzò a marce forzate la vecchia Russia patriarcale e contadina, su raccomandazione del suo consigliere, il filosofo Gottfried Leibniz. Putin adora Pietro il Grande. E i russi conoscono a memoria i versi di Aleksandr Sergeevič Puškin su San Pietroburgo: «Da qui noi minacceremo gli Svedesi. Qui, sarà costruita una citta che farà infuriare il nostro superbo vicino. Qui la natura ci ordina di aprire una finestra sull’Europa.» Quanto alla Finlandia, aggredita dall’armata sovietica nel 1939, essa ha tenuto testa al suo vicino e gli ha inflitto perdite memorabili. L’adesione alla Nato della vecchia rivale svedese e dei feroci finlandesi costituisce perciò un intollerabile cruccio per il presidente russo.

Ci si può pertanto chiedere se sia davvero una buona idea quella di versare benzina sul fuoco nel corso di un aperto conflitto. Due cose sembrano tuttavia incontestabili. Innanzitutto, Vladimir Putin è pervenuto ad un risultato inverso rispetto a quanto aveva dichiarato di ripromettersi attaccando l’Ucraina: impedire ad ogni costo alla Nato di avvicinarsi alle frontiere della Russia – anche se non era all’ordine del giorno una imminente adesione dell’Ucraina. Oggi egli si ritrova con due rivali in più in una Alleanza rivitalizzata come mai prima d’ora. Infatti, il processo in corso, oggettivamente, isola e indebolisce la Russia. D’altra parte, però, la guerra con l’Ucraina sembra portare acqua al mulino di Putin, che non cessa di denunciare l’espansione di una Alleanza geograficamente sempre più vicina e incombente per la Russsia. Si tratta, con tutta evidenza, di un argomento capzioso, poiché le candidature finlandesi non precedono, ma segueno la terribile invasione russa dell’Ucraina. Conoscendo il talento retorico di dirigenti putiniani, che spesso e volentieri invertono il ruolo tra gli aggressori e gli aggrediti, tra il prima e il poi, si può essere certi che Putin giustificherà le prossime azioni belliche. dicendo. “Vi avevo avvertuti che la Nato avrebbe cercato di circondarci”.

È dunque davvero necessario ammettere nella Nato i due paesi nordici, anche sapendo che Putin brandirà regolarmente, come inevitabile conseguenza, la minaccia nucleare? A mio parere, bisogna farlo. Innanzituto perché i loro abitanti lo reclamano insistentemente, temendo di essere le prossime vittime nella lista degli obiettivi del Cremlino. Penso che se fossimo al loro posto, chiederemmo la stessa cosa, cioè la protezione di una alleanza costituita da democrazie adeguatamente armate. Non dimentichiamo che non è la Nato che si espande, ma sono due Stati sovrnai che chiedono di entrarvi. Inoltre, se continuassimo ad aver paura di irritare “l’orso russo”, aiutando i popoli che si sentono minacciati o che sono da esso aggrediti, finiremmo per piegarci dinanzi alle sue prevaricazioni – com’è già accaduto in Georgia nel 2008, in Siria nel 2013 e in Ucraina nel 2014. Vladimir Putin, uomo formatosi all’epoca dell’Unione Sovietica, mostra di non saper recedere se non davanti alla forza.

In ogni caso, che si sia favorevoli o contrari rispetto a questa adesione, si può essere sicuri che Putin se ne servirà come pezza d’appoggio per la sua propaganda. Nei suoi Essais (III, 8) già Montaigne osservava che se la cosa più interessante in una discussione fosse l’intento di essere ripresi e di modificare la propria opinione ascoltando quella altrui, «sarebbe assai disagevole attirarvi gli uomini del proprio tempo» in quanto ogni duscussione si nutre segretamente dell’orgoglio di chi vi partecipa. Ma non v’è, tuttavia, alcuna ragione di disperare, continua Schopenhauer nella sua “Arte di averse sempre ragione” (1864), giacché questo comportamento è “la base stessa della natura umana”. La nostra «innata vanità […] non sopporta che la nostra posizione sia falsa e che quella dell’avversario sia corretta». È sufficiente, aggiunge il filosofo, un po’ di malafede. Il piacere di avere ragione ha comunque il soppravvento su ogni altra considerazione.

In questo senso, Vladimir Putin, che monologa invece di dialogare, che non esita ad affermare che il presidente ucraino è un nazista e che sono stati i soldati ucraini a distruggere Mariupol, continuerà ad approfittare di ogni occasione per spiegare a chi voglia intenderlo che il suo Paese è la vittima dei misfatti occidentali. Che lo faccia, dunque, ma che almeno i suoi vicini siano protetti dalle sue prossime “guerre preventive”.

 

 

 

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Finlandia e Svezia. Ingresso sbagliato

CRONACHE&COMMENTI

A breve la Nato potrebbe arrivare sul confine finlandese davanti a Pietroburgo

di Aldo Pirone
SannaMarin PremierFinlandia minLa richiesta della Finlandia, cui seguirà a ruota la Svezia, di entrare nella Nato è comprensibile. L’aggressione di Putin all’Ucraina ha mutato i tradizionali orientamenti neutralisti dell’opinione pubblica in entrambi i paesi. Svedesi e finnici sentono il fiato sul collo dell'orso russo. Se l’autocrate del Cremlino aveva in mente, con l’invasione dell’Ucraina, di impedire un’altra progressione della Nato a est, ora se la ritroverà schierata lungo il confine finnico di 1.350 km.. Una lampante eterogenesi dei fini.

Tuttavia, l’ulteriore allargamento dell’Alleanza militare nel nord Europa sarebbe un errore, in contrasto con il tentativo di alcuni fondatori dell’Ue – Francia, Germania e ultimamente l’Italia – di impegnare più decisamente l’Europa sulla ricerca di un compromesso sulla guerra in Ucraina e su un cessate il fuoco immediato. Non a caso il segretario della Nato Stoltenberg, che non ha di questi sentimenti, aveva già dimostrato il suo entusiasmo per l’auspicato accadimento: “Se la Finlandia decidesse di candidarsi, verrebbe accolta calorosamente nella Nato e il processo di adesione sarebbe agevole e rapido” e l’inglese Johnson si è precipitato a fornire garanzie per tutto il tempo necessario all’ingresso del paese finnico. Ad essi ha subito fatto eco Biden che ha assicurato “il proprio appoggio alla politica delle porte aperte della Nato e al diritto di Svezia e Finlandia di decidere del proprio futuro”.

Se la si mette sul piano del diritto di ogni Nazione a decidere quello che le pare in fatto di sicurezza e alleanze, anche l’Ucraina avrebbe questo diritto. Solo che questi diritti vanno contemperati con la sicurezza di tutti nel continente europeo. Altrimenti perché ci sarebbe bisogno di una nuova Conferenza di Helsinkj come ha detto il Presidente Mattarella?

Per ora l’unica opposizione alla richiesta del governo progressista finlandese ed eventualmente di quello svedese è venuta da Erdogan, con la motivazione risibile che Finlandia e Svezia danno asilo ai “terroristi” curdi suoi implacabili nemici. Tanto risibile da far supporre che il sultano di Ankara voglia avere molto altro in cambio del suo assenso, come s’addice a un buon mercante levantino.

Lo stesso entusiasmo per l’ingresso dei due paesi nordici mostra il nostro ministro degli Esteri Di Maio: “Siamo ben lieti di accoglierli nell’Alleanza”. E non si capisce perché lo stesso Conte, leader del M5s, che minaccia sfracelli sull’invio delle armi pesanti ai resistenti ucraini, dice, anche se con toni più sobri, “non mi sento di offrire una risposta negativa” e poi reclama un impegno europeo per la pace e aborrisce la “corsa al riarmo”. Ma la questione, nel campo progressista, non riguarda solo i “grillini”, anche il Pd e Leu dovrebbero esplicitare il loro pensiero in proposito.

Il fatto è che obiettivamente, nel quadro della guerra voluta da Putin contro l’Ucraina, l’estensione della Nato a Finlandia e Norvegia rappresenta un atto di escalation militare nel nord Europa, in contraddizione palese con le cose dette ultimamente da Macron, Sholz e Draghi sull’impegno prevalente a costruire la trattativa con Putin per un cessate il fuoco. Anche se Sholz ha espresso, contraddittoriamente, pieno sostegno a Finlandia e Svezia per il loro ingresso nell'organizzazione militare atlantica.

Bisogna respingere la richiesta di Finlandia e Svezia? No, ma congelarla sì, per usarla come arma di pressione per costringere Putin alla trattativa, adottando una specie di clausola dissolvente nella prospettiva di una nuova Conferenza sulla sicurezza europea e della costruzione della Difesa comune dell’Ue che sostituisca la Nato. Bisognerebbe avere su questo una comune posizione almeno fra Francia, Germania e Italia che da una parte rassicuri Finlandia e Svezia, che fanno parte dell’Ue, dando loro garanzie di sicurezza e, dall’altra, mostri a Putin che se non addiviene a più miti consigli si troverà a breve la Nato sul confine finlandese davanti a Pietroburgo.

Non dimentichiamo che per l’ingresso di nuovi soci nella Nato serve l’unanimità dei paesi già aderenti e che sarà il Parlamento a doversi esprimere.

Anche questa questione dovrebbe far parte di una mozione europeista che, partendo dalla nuova fase della guerra, metta in primo piano l’impegno dell’Italia per la trattativa e per la pace in Ucraina, da presentare e far votare in Parlamento.

 

malacoda 75

Aldo Pirone, redattore di malacoda.it

 

 

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La sinistra democratica europea e la pregiudiziale anti-Nato

ANALISI, OPINIONI, DIBATTITI

Ma non è ora di liberarsi dagli strascichi “sentimentali” del bipolarismo del XX secolo?

di Fausto Pellecchia
Gregor Gysi, il nuovo presidente della Sinistra europeaQuesta nota, come le altre che seguiranno, è innanzitutto lo sfogo di un malessere e di un disagio crescenti che l’evento tragico dell’aggressione russa all’Ucraina ha innescato lungo il solco della mia antica adesione ideale alla cultura politica della sinistra italiana. Adesione che, se ancora sopravvive nel desolante ingombro di macerie ideologiche che delimitano il campo della sinistra democratica, è unicamente debitrice alla voce e al coraggio di testimoni esemplari che hanno misurato l’ampiezza della crisi.
Una di queste voci è senz’altro quella di Gregor Gysi, l’ultimo presidente del Partito Socialista Unificato nella ex Germania orientale, oggi esponente di spicco della Linke. Nelle prime settimane del conflitto, in un’intervista al giornale conservatore Die Welt, riferendosi alla politica anti-Nato della Linke, Gysi con dirompente spirito autocritico ha dichiarato: «Se fossimo stati noi al governo [e avessimo ottenuto la fuoriuscita della Germania dalla Nato] sarebbe stata una catastrofe»

D’altra parte, dopo le ultime elezioni tedesche (2021), che la Linke potesse entrare in una coalizione di governo era considerato un evento più che probabile. Il candidato della SPD, Olaf Scholz, oggi cancelliere sostenuto da una coalizione con Liberali e Verdi, non ha mai pregiudizialmente escluso l’ipotesi di un’alleanza con la sinistra. Tuttavia, il progetto tramontò all’indomani del voto, poiché la Linke ottenne un risultato elettorale molto deludente. Più recentemente, il tema della maturazione della Linke come possibile forza di governo è stato riproposto in numerose interviste da Gregor Gysi, sullo sfondo della sanguinosa invasione dell’Ucraina intrapresa da Vladimir Putin. Nel contesto sempre più drammatico della guerra, la Linke ha dovuto misurarsi con una serie di dilemmi strategici, gli stessi che hanno stimolato un acceso dibattito anche nella sinitstra italiana (ed europea): quale posizione assumere rispetto all’invasione della Russia? Quali interpretazioni politiche e storiche dare alla guerra di Putin? E infine: è opportuno sostenere l’Ucraina con l’invio di armi?

La questione peraltro è complicata dalle fittissime ed ancora perduranti relazioni politiche, culturali ed economiche con la Russia di Putin. Il principale partito di maggioranza, la SPD, non ha mai fatto mistero della cointeressenza che la lega alla Russia di Putin. Basti pensare che Gerhard Schröder, ex cancelliere socialdemocratico, è da anni membro dei consigli di amministrazione di industrie di stato russe e, più in generale, che tutti i governi tedeschi degli ultimi anni hanno fatto affari con Mosca.
Egualmente vincolante, ma di natura squisitamente politica, è l’interdizione impressa sulla Linke in ragione dei suoi orientamenti di politica estera, che la qualificano come un partito che ha sempre fatto della critica severa alla NATO un punto irrinunciabile del suo programma politico. Del resto, uno dei principali motivi per cui i socialdemocratici e i Verdi non sono riusciti a formare un governo federale con la Linke – anche quando ne avevano i numeri, come nelle elezioni del 2013 – è stato proprio l’incompatibilità dei rispettivi programmi in politica estera.

Lo scoppio della guerra in Ucraina e il dibattito nel Bundestag hanno nuovamente rinfocolato le posizioni fortemente critiche della Linke in rapporto all’alleanza nord-atlantica che hanno funzionato come premessa dell’avvicinamento alla politica di Putin. L’eccitazione della polemica antiatlantica ha sospinto la Linke verso una forma di giustificazione dell’invasione russa all’Ucraina, tanto da indurre Gregor Gysi a prendere posizioni fortemente discordanti da quelle del suo partito.
In una seduta straordinaria del Bundestag sulla invasione dell’Ucraina, la Linke ha esplicitamente criticato il governo, la NATO e le sanzioni economiche che puniscono ingiustamente il popolo russo. Inoltre, nella dichiarazione di opposizione della Linke rispetto alla risoluzione del governo, sostenuta anche dall’Unione europea, non si fa alcun accenno alla situazione problematica del popolo ucraino.

Da qui prende spunto la lettera di durissimo dissenso indirizzata da Gregor Gysi all’attuale dirigenza del suo partito, di cui mi limito a riportare alcuni stralci:
«Vi opponete fermamente – scrive Gysi - all’invio di armi all’Ucraina da parte della Germania, senza tuttavia fare riferimento alla particolare storia della Germania, facendo apparire questa presa di posizione come tipica della sinistra. Questo implicherebbe che la sinistra in Francia, nel Regno Unito così come in altri Paesi dovrebbe escludere l’invio di armi all’Ucraina. Con ciò voi negate all’Ucraina, il diritto di difesa e, indirettamente, proponete una resa incondizionata al suo aggressore. Io sono di un’idea completamente diversa: bisogna sempre concedere ai Paesi aggrediti il diritto all’autodifesa. Naturalmente, questo principio doveva applicarsi anche in Iraq, quando gli Stati Uniti lanciarono un’aggressione illegitimma a quel Paese, contro la quale giustamente insorse la protesta della Linke e di altri movimenti democratici. Analogamente, tutti i Paesi aggrediti da Hitler avevano il diritto a opporsi. Esiste un riconoscimento generale del diritto all’autodifesa dei paesi aggrediti […] Ciò che più mi sconvolge nella vostra dichiarazione è la totale mancanza di empatia verso i morti, i feriti e la sofferenza».

Ma la parte più interessante del messaggio di Gysi concerne l’avversione ideologica alla Nato che connota strutturalmente i programmi delle sinistre europee, e che gli imprevedibili avvenimenti bellici in Ucraina si sono incaricati di smentire, rinnovando il senso di una alleanza che sembrava ormai definitivamente obsoleta e pronta per essere sostituita da altri, più agili e più articolati meccanismi di difesa comune:
«Voi siete soltanto interessati – prosegue Gysi - a salvare la vostra vecchia ideologia. La NATO è il male, gli USA sono il male, il governo federale è il male e con ciò la questione è chiusa. Non dovremmo anche noi riflettere su noi stessi e prendere atto di una certa cesura storica? Naturalmente conosco le violazioni del diritto internazionale della NATO e dei membri della NATO. Ero a Belgrado quando la NATO ha attaccato la Jugoslavia. Il diritto internazionale non fa differenza tra democrazia e dittatura: non esistono buone o cattive guerre, ma soltanto attacchi vietati – e guerre di difesa consentite. Perciò, in base a tale criterio del diritto internazionale, alla NATO non si può addebitare alcun errore che giustificherebbe la guerra della Russia. Per questo motivo, le ragioni storico-ideologiche che la Russia di Putin ha invocato per giustificare l’invasione, non hanno il ruolo che voi le attribuite. Di fatto, Putin ha contraddetto anche la nostra posizione, contraria a un allargamento della NATO a Est, giacché è chiaro che non avrebbe attaccato l’Ucraina se essa fosse stata membro della NATO. Per questo, del resto, anche i governi della Svezia e della Finlandia chiedono con urgenza di diventare membri della NATO. Anche in questo senso, Putin ha provocato una catastrofe. Certamente, può darsi che non si sarebbe arrivati a questa ‘escalation’, se la NATO, dopo il 1990, non avesse accolto le deliberazioni di 14 Stati. Ma ora Putin sta favorendo esattamente il prevalere di un’opinione contraria in più governi europei. Prossimamente discuteremo quale altra politica dopo la fine della guerra fredda, avrebbe potuto evitare una simile ‘escalation’ fino all’attacco della Russia contro l’Ucraina. Ma ora non è il momento di soffermarsi nell’analisi delle distinte posizioni assunte. La Russia deve essere fermata. Il pensiero imperialista di Putin è catastrofico e deve essere coerentemente contrastato»

La parole di Gysi aprono uno squarcio di verità e hanno il merito di mettere in evidenza un limite nell’interpretazione della guerra in corso che, in Italia, Gianni Cuperlo ha definito ‘problema della sinistra con le armi’: “Se quel popolo invoca aiuto anche militare per non soccombere e per spingere l’aggressore a recedere dalla via imboccata, è legittimo garantire quell'aiuto? La risposta di molti, io tra tanti, è sì, quell’aiuto va garantito ... Il punto è che nulla giustifica l’invasione dell’Ucraina, l’uccisione di donne, bambini, ed è su questo che siamo chiamati a misurare il sostegno alla resistenza di un territorio martoriato” (Domani 23.3.2022). Anche Sergio Cofferati si è posto la domanda: «Che sinistra è una sinistra che non è solidale con un popolo aggredito e che non cerca di aiutarlo in tutti i modi? Pensiamo al nostro passato, alla Resistenza: senza gli aiuti, le armi e l’intervento degli altri Paesi non ci saremmo mai liberati dal fascismo e dal nazismo» (Corriere della Sera, 27.3.2022). Il problema, evidentemente, non è la divisa di pacifismo radicale, quanto astratto, né i limiti e la fitta sequenza di errori commessi NATO in altri territori di guerra (del resto l’ingresso dell’Ucraina nella NATO è da anni fuori dalle opzioni possibili), quanto piuttosto comprendere l’eccezionalità dell’invasione russa in Ucraina.

La guerra, per definizione, porta a polarizzazioni e decisioni scomode non solo dal punto di vista strettamente politico ma anche etico-morale. L’invio delle armi all’Ucraina è un tema rispetto al quale qualunque cosa si decida, non sarà mai una decisione completamente soddisfacente. Resterà indelibato comunque un residuo di incertezza e di dubbio.
Conviene, perciò, esaminare partitamente le ragioni della contrarietà dell’invio di armi. Al fondo essa poggia su tre convinzioni politico-strategiche: a) sostenere militarmente l’Ucraina comporta il rischio concreto di una radicalizzazione del conflitto (fino all’uso dell’arsenale nucleare) con un probabile incontrollato allargamento dello scenario di guerra; b) il conflitto in corso non è tanto tra russi e ucraini, ma mostra i lineamenti di una collisione geo-politica tra Stati Uniti e Russia ed, infine, c) il raggiungimento della pace può avvenire esclusivamente tramite il rafforzamento della mediazione politica e diplomatica.

Il limite di questa lettura è che non prende in considerazione un dato storico incontrovertibile. L’invasione russa iniziata il 24 febbraio scorso è già la seconda invasione dell’Ucraina. Nel 2014, la Russia ha invaso e annesso la Crimea e ha tentato, invano, anche l’annessione del Donbass. Allora si decise di avere una linea conciliante, contenuta nei limiti di un confronto diplomatico nei confronti di Putin. Il risultato è stato un nuovo conflitto, una nuova invasione ben più grave e su larga scala. Oltre all’invasione del 2014, non si deve inoltre dimenticare l’invasione dell’Ossezia del Sud e dell’Abcasia in Georgia. Ricollocate nel loro contesto storico, le azioni di Putin delineano pertanto un disegno neoimperiale che, ispirandosi alle nostalgie della “guerra fredda” tra URSS e USA, punta sull’apertura di una “pace calda”, fatta di guerre ibride, combattute per procura. Risulta, dunque tanto più evidente che la Russia di Putin debba essere fermata ora, così come ricorda Gregor Gysi.
Se così non fosse, non solo ci sarebbe da temere per l’ Ucraina dello sterminio di uno stato e di un popolo, ma anche di un inesorabile allargamento del conflitto; non tanto in Polonia, come viene spesso ricordato, quanto piuttosto in Moldavia, dove la Transnistria, una piccola repubblica russa, rivendica la propria indipendenza.
Per questo è assolutamente importante che la sinistra europea porti definitivamente a compimento il lavoro del lutto, superando il riflesso condizionato che le proviene dalle radici bolsceviche dell’URSS dopo il crollo del muro di Berlino.
È difficile per la sinistra stare dalla stessa parte del mainstream. In questi casi, prevale troppo spesso la sensazione di perdere il filo della propria identità storico-ideologica, di sottrarsi alla fedeltà richiesta dalla lotta, giacché coalizzandoci contro un attore dichiaratamente criminale (Putin), si finisce per contribuire a rafforzare il suo nemico, che anch’esso ha spesso assunto le fattezze del “grande delinquente” (Nato), permettendogli di apparire come buono e salvifico.

Dal 1917, questo è stato il caso della sinistra occidentale in rapporto con il blocco internazionale della Russia sovietica. Prima del 1917, la sinistra vedeva l’autocrazia zarista come l’apice della reazione autoritaria, un atteggiamento che ha facilitato la strada ai partiti socialisti dei nemici della Russia favorendo la decisione di impegnarsi nella prima guerra mondiale. Ma fin dalla rivoluzione russa, la sinistra democratica ha sempre mostrato grande cautela nell’unirsi a qualsiasi condanna borghese occidentale dell’URSS, nonostante non abbia risparmiato le sue obiezioni spesso feroci allo stalinismo o alla repressione della democrazia interna dell’Unione sovietica.

Ma non è giunto finalmente il momento di liberarsi da questi strascichi “sentimentali” del bipolarismo del secolo scorso, per prendere atto dei profondi cambiamenti epocali intervenuti nel frattempo, e per rinnovare finalmente gli strumenti dell’analisi politica, in concomitanza con i nuovi assetti socio-economici del secolo XXI? Gysi sostiene che siamo ormai già nell’urgenza di un rinnovamento al limite del tempo massimo consentito. Ed io credo che abbia sostanzialmente ragione.

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Intervista a Luciano Canfora su guerra tra Russia e Nato

LA GUERRA IN UCRAINA

Sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato

Umberto De Giovannangeli, intervista Luciano Canfora

luciano canfora 390 min“Zelensky salito al potere con un colpo di Stato, guerra è tra Russia e Nato”. Una voce fuori dal coro. Per “vocazione”. Controcorrente, anche quando sa che le sue considerazioni si scontrano con una narrazione consolidata, mainstream. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista, professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni), è così. Sempre stimolante, comunque la si pensi. E le sue riflessioni sulla guerra d’Ucraina ne sono una conferma.

Professor Canfora, in queste drammatiche settimane, in molti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo ad Est. Qual è la sua di definizione?
Punto uno, è un conflitto tra potenze. È inutile cercare di inchiodare sull’ideologia i buoni e i cattivi, le democrazie e i regimi autocratici… Ciò che sfugge è che il vero conflitto è tra la Russia e la Nato. Per interposta Ucraina. Che si è resa pedina di un gioco più grande. Un gioco che non è iniziato avanti ieri ma è cominciato almeno dal 2014, dopo il colpo di Stato a Kiev che cacciò Yanukovich. È una guerra tra potenze. Quando i vari giornaletti e giornalistucoli dicono ecco gli ex comunisti che si schierano…Una delle solite idiozie della nostra stampa. Io rivendico il diritto di dire che le potenze in lotta sono entrambe lontane dalla mia posizione e dalle mie scelte, perché le potenze in lotta fanno ciascuna il loro mestiere. E né gli uni né gli altri sono apprezzabili. Nascondere le responsabilità degli uni a favore degli altri è un gesto, per essere un po’ generosi, perlomeno anti-scientifico.

C’è chi sostiene che per Putin la vera minaccia non era tanto l’ingresso dell’Ucraina nella Nato o la sua adesione all’Ue, quanto il sistema democratico che in quel Paese ai confini con la Russia si stava sperimentando. Lei come la pensa?
Usiamo un verso del sommo Leopardi: “Non so se il riso o la pietà prevale” dinanzi a schemi di questo tipo…

Dalla poesia alla prosa…
Se dobbiamo ritenere che sia democratico chi arriva al potere dopo un colpo di Stato, perché quando in Ucraina fu cacciato il governo in carica quello era un golpe, come quello di al-Sisi in Egitto contro i Fratelli Musulmani. Ognuno è libero di dire le sciocchezze che vuole ma adoperare queste categorie per salvarsi la coscienza, è cosa poco seria. Il figlio di Biden è in affari con Zelensky. Zelensky è un signore che dice di voler combattere per degli ideali, ma questi ideali hanno anche dei risvolti meno idealistici…

Vale a dire?
Il Guardian, non la Pravda, nell’ottobre del 2021 fece un ritratto di Zelensky, dal punto di vista affaristico, molto pesante. Incitiamo i nostri simpatici gazzettieri ad andarsi a leggere il Guardian dell’anno passato per avere un ritratto realistico di Zelensky. Dopodiché non mi scandalizzo, perché quando si usano le parole libertà e democrazia c’è odore di propaganda lontano un miglio. O parliamo seriamente o facciamo propaganda. La propaganda peraltro è cosa molto seria, basta non crederci.

C’è chi accusa la Russia di disinformatia…
Beh, anche il nostro apparato informativo è spaventoso, da quel punto di vista lì. Non ho nessuna tenerezza per la disinformatia russa, però lo spettacolo della nostra stampa, cartacea e televisiva, è peggio del Minculpop. A confronto il Minculpop è un’Accademia dell’Arcadia. Una stampa con l’elmetto, in cui dalla mattina alla sera non si fa altro che blaterare, urlare, protestare, piangere, sentenziare, per creare una psicosi di massa. Devo confessarle che nonostante ne abbia viste tante in vita mia, sono rimasto piuttosto stupito di cotanta prontezza, che fa pensare ad a ordini precisi, con cui la stampa si sia messa l’elmetto. Una cosa francamente penosa. Anche nella psicologia diffusa. Le racconto questa: l’altro ieri ho incontrato un tizio per la strada che mi ferma e mi dice: “Professore, ma lei cosa pensa di quel pazzo di Putin?”. “Qualche responsabilità c’è anche dall’altra parte”, gli rispondo. “Ah”, dice, “ma allora lei la pensa come me”. Questo è un episodio emblematico. Siamo arrivati all’autocensura per timore di scoprirsi. Come durante il fascismo, quando si diceva ma allora anche Lei è contro… Siamo ridotti a questo. Lanciamo almeno un campanello d’allarme affinché la stampa ridivenga dignitosa. Se ce la fa.

I pacifisti che hanno manifestato sabato scorso a Roma, sono stati additati da più parti come dei “filo-Putin”…
È maccartismo puro. Non mi stupisce questo, una volta si diceva sono pagati per questo. È talmente in malafede dire una cosa del genere che non merita neanche un’argomentazione complessa. Perché rivela da sé la natura maccartistica, persecutoria, isterica, di falsa coscienza di una tale valutazione. È chiaro che tutti auspichiamo che si torni a una vera situazione pacifica. Ma ricordiamoci il passato, però…

Ricordiamolo, professore.
Gorbaciov auspicò la Casa comune europea. E fu respinto. Aggiungiamo anche che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, nacque la Comunità degli Stati Indipendenti, di cui facevano parte l’Ucraina, i Paesi baltici, l’Asia centrale russa, la Georgia. La Comunità degli Stati Indipendenti è un concetto. Comunità vuol dire qualche cosa. Se tu dopo un colpo di Stato, quello del 2014, cominci a chiedere di entrare nella Nato, stai disattendendo un impegno preso non molti anni prima. Ci vuole una Conferenza per la sicurezza europea. Una via di uscita. Se esistesse l’Unione Europea, che purtroppo non esiste, la soluzione sarebbe quella di prendere una iniziativa per una Conferenza per la sicurezza in Europa. Di cui gli Stati Uniti non fanno parte. Invece l’Europa è ingabbiata dentro la Nato il cui vertice politico e militare sta negli Stati Uniti. Il comandante generale della Nato per statuto deve essere un generale americano. Il segretario generale della Nato per entrare in carica, anche se si chiama Stoltenberg ed è norvegese, deve avere il placet del governo degli Stati Uniti. Imbavagliati così, balbetteremo sempre. In queste settimane di guerra, ci si è molto esercitati nella decodificazione dei vari discorsi pronunciati da Putin, nei quali il presidente russo ha evocato la Grande Guerra Patriottica, la Madre Terra Russia, il panrussismo etc. Da storico: non c’è da temere quando un politico, soprattutto se questo politico ha in mano una potenza nucleare, sembra voler riscrivere la Storia?
Questo mi pare evidente. Solo che il paragone storico più calzante sarebbe un altro…

Quale?
Quello che un ottimo studioso italiano, Gian Enrico Rusconi, quando la Nato si affrettò a disintegrare la Jugoslavia, intitolò un suo libro, un bel libro, a riguardo Rischio 1914. Ci siamo dimenticati che dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, la Nato ha voluto, pezzo a pezzo, mangiarsi lo spazio intermedio fino ai confini della Russia? E il primo ostacolo era la Jugoslavia. E quando ci fu la secessione della Croazia, analoga se vogliamo alla secessione del Donbass, il primo a riconoscere il governo croato fu il Papa e il secondo fu il governo federale tedesco. E tutti applaudivano. La secessione della Croazia era un gioiello, una bellezza. Adesso la secessione del Donbass è un crimine. Rischio 1914. Lo dico con allarme. Sul Corriere della Sera, una voce sensata, quella di Franco Venturini, dice: ma ci rendiamo conto che Zelensky sta continuando a chiedere l’intervento militare della Nato, cioè vuole la Terza guerra mondiale…Ce ne rendiamo conto o no?

Lei come giudica la decisione del governo italiano di inviare equipaggiamenti militari all’Ucraina?
L’Unione europea, che purtroppo non esiste, avrebbe dovuto avere una politica unica su questo come su altri terreni. È piuttosto sconcertante e politicamente sbagliato che ognuno vada per conto suo. Nel caso particolare l’Italia vuole fare la prima della classe. Spero che si mantenga entro limiti accettabili per la controparte, stante che noi abbiamo in casa le basi Nato. Se continuiamo a scherzare col fuoco, facciamo quello che Zelensky insistentemente chiede. A questo proposito mi permetto di raccontare una cosa che peraltro è verificabile. Giorni fa, sulla Rete Tre della televisione, in un talk show c’è in studio una studiosa ucraina, e viene mandato in onda un discorso di Zelensky che viene tradotto, in simultanea, in italiano. A un certo punto, la studiosa ucraina dice “attenzione, la traduzione è sbagliata”, perché lui sta dicendo altro. “E che sta dicendo, le chiede la conduttrice?”. “Sta dicendo che bisogna che la Nato intervenga militarmente”. La traduzione voleva occultare questo. Figuraccia della televisione italiana. Rischiamo di raccontarle queste cose, perché tra breve, non so, leggeremo il Vangelo secondo Riotta? Spero di no.

Se qualcuno alzasse l’indice accusatorio e dicesse: ecco, il professor Canfora ha svelato di essere un nostalgico del tempo che fu…Come risponderebbe?
Io non credo di aver manifestato nostalgie nel momento che mi sono più volte espresso intorno agli scenari conseguenti alla sconfitta dell’Unione Sovietica nella Guerra Fredda. Nessuno, però, può toglierci il diritto di dire quello che ha scritto, poco prima di morire, Demetrio Volcic. E cioè che la situazione di equilibrio esistente al tempo delle due super potenze, garantiva la pace nel mondo. Demetrio Volcic. Spero che sia considerato al di sopra di ogni sospetto.

da ilriformista.it 12 Marzo 2022
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Ucraina: Tocca all’Europa non alla Nato

CRONACHE&COMMENTI

Sia UE ad assumere un ruolo e un profilo politico autonomo, democratico e pacifico verso l’est

di Aldo Pirone
bruxelles parlamento europeoL’altro ieri all’Assemblea generale dell’Onu l’aggressione all’Ucraina da parte di Putin è stata condannata da quasi tutti i paesi: 141 voti a favore, 5, tra cui la Russia, contrari, e 35 astenuti tra cui - significativamente per gli sviluppi diplomatici che nei prossimi giorni mettano fine alla guerra - la Cina. Come si sa il voto non è vincolante ma ha un indubbio peso politico nel progressivo isolamento politico su scala mondiale di Putin. Non sembra comunque che l’Onu, visto il potere di veto della Russia nel Consiglio di sicurezza, possa andare oltre il voto di ieri come invece sarebbe auspicabile.

In questa settimana di guerra c’è stata anche una reazione significativa dell’Europa: sanzioni economiche a quanto pare non indifferenti, assistenza ai profughi e alle vittime, invio di armi ai resistenti ucraini sia da parte della Commissione europea che dei singoli Stati europei, voto dell’europarlamento sull’entrata dell’Ucraina nell'Ue. Anche questo un atto con scarsa rilevanza pratica nell’immediato ma indubbiamente di notevole valore politico. Occorre sottolineare, poi, che i paesi più coinvolti nell’assistenza umanitaria, in primis la Polonia, non sono esenti da una pesante punta di razzismo se si considerano le loro arcigne chiusure verso l’emigrazione di altra natura e di altra provenienza ancora persistenti.

Che dopo l’aggressione di Putin ci sarebbe stata una reazione europea e mondiale così forte ed estesa, e anche all’interno della Russia con molte manifestazioni di cittadini, forse l’autocrate russo non se l’aspettava. Perfino la piccola e neutralissima Svizzera ha fatto sentire la sua voce di condanna. Così come, forse, non si aspettava una resistenza tanto intensa da parte degli ucraini sul terreno. Tutto ciò può avere un’influenza sui colloqui in corso far russi ed ucraini per almeno un cessate il fuoco.

Ma l’Europa non può limitarsi solo a reagire, deve promuovere da subito un’iniziativa politica e diplomatica che costringa l’aggressore a una trattativa seria e immediata. Ho Chi Minh, il leader vietnamita che combatté per l’indipendenza del suo paese contro i colonialisti francesi prima e poi gli americani, diceva: quando sei in una capanna con dentro una tigre, da una parte imbraccia il fucile e dall’altra tieni aperta la porta. In questo caso la tigre è l’autocrate russo che è padrone di un arsenale atomico non indifferente. L’iniziativa la deve prendere l’Europa e non la Nato, anche se il ministro russo Lavrov, e non a caso, è quest’ultima che invita ad aprire trattative.

Bisogna vedere in concreto quali siano i veri obiettivi di Putin. Se, come dice, si è mosso per evitare un ulteriore allargamento della Nato a est e in Ucraina - cosa poco credibile perché questa garanzia l’aveva già ottenuta di fatto - oppure se il suo obiettivo, come sembra dimostrare l’aggressione in atto, sia un altro: un passo ulteriore dettato dal nazionalismo revanchista verso la ricostruzione della Grande Russia.

Nel primo caso deve essere l’Unione europea a dare garanzie, assumendo un ruolo e un profilo politico autonomo, democratico e pacifico verso l’est dopo il momento della fermezza e della condanna. Sarebbe, tra l’altro, un primo passo verso la realizzazione di quel soggetto politico europeo che finora è mancato perché ci si è cullati all’ombra dell’Atlantismo Nato che ha contribuito negli anni, con la sua espansione sconsiderata, al rinascente nazionalismo grande russo. Se, com’è probabile, è la ricostruzione della Grande Russia l’obiettivo di Putin, l’iniziativa europea sarebbe salutare e necessaria lo stesso per costringerlo a cadere da cavallo concedendogli di dire che ne voleva scendere: la famosa porta aperta nella capanna di Ho Chi Minh.

Più di qualcuno ha proposto che sia la Merkel, in rappresentanza dell’Ue, ad assumere questo ruolo e questa iniziativa in ragione anche della sua opera passata di continua mediazione nei confronti di Putin nonché della sua conoscenza dell’autocrate russo e degli equilibri interni al gruppo dirigente politico ed economico che lo attornia e che la guerra sta scuotendo. Ciò che finora non è riuscito a Macron e Sholz, forse potrebbe riuscire alla Merkel. Se questo accadesse, com’è auspicabile, lo si dovrebbe oltre che alla sua abilità mediatrice, soprattutto all’inizio di un’autonomizzazione dell’Europa dall’Atlantismo Nato. Evidenziata da una precisa iniziativa e proposta politica volta, da una parte, a salvaguardare l’integrità dell’Ucraina e il suo diritto a scegliersi i governanti che vuole in piena osservanza dello Stato di diritto e dei diritti delle minoranze, dall’altra, a dare garanzie alla Russia in ordine alla sua sicurezza.

Tocca all’Europa farsi avanti non alla Nato.

 

 

 

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Una ipotesi di comportamento che sarebbe stato utile?

UCRAINA

Sarebbe stato un gesto politico di prima grandezza: "Ucraina: pur condannando l’aggressione russa, mi rifiuto di mettere l’elmetto a fianco della Nato" (il titolo scelto da Fabio Marcelli) Occorre mettere mano alle radici di fondo del conflitto che sono lo status del Donbass e la neutralità dell’Ucraina

di Fabio Marcelli*
Zelensky colloquio telefonico 390 Volodymyr Zelensky da ex attore a presidente dellUcraina minIl mondo è sull’orlo del baratro. L’appello del presidente ucraino a formare una coalizione di guerra contro la Russia rappresenta chiaramente un passo in quella direzione. Sembra concretizzarsi la profezia di Giulietto Chiesa che aveva identificato proprio nell’Ucraina la culla della Terza guerra mondiale. Come affermato dall’Associazione internazionale dei giuristi democratici l’offensiva russa costituisce un’evidente violazione del diritto internazionale. Essa costituisce altresì un’applicazione da manuale della nefasta dottrina dell’autodifesa preventiva, enunciata dagli Stati Uniti, con tanto di tentativi, per la verità non troppo felici, di giustificazione giuridica, con paludati articoli in riviste prestigiose come l’American Journal of International Law e simili, e messa in pratica con grande dispiego di uomini, mezzi e vittime, soprattutto nell’aggressione all’Iraq del 2003.

Putin può quindi tutto sommato essere considerato un emulo di Bush, da questo punto di vista. E sicuramente si tratta di un approccio non compatibile col diritto internazionale vigente che è fondato sul divieto dell’uso della forza e delle aggressioni militari. Putin quindi ha le sue responsabilità e, a giudicare da come stanno messi gli Stati Uniti a circa vent’anni dall’aggressione, sul piano interno come su quello internazionale, si può vaticinare che questa scelta non sarà foriera di conseguenze positive per la Russia e il suo popolo.

Esistono però anche delle differenze che vanno colte rispetto all’aggressione statunitense all’Iraq e ad altri Stati che riguardano il tema della sicurezza per tutti, inclusa ovviamente la Russia. Questa ha subito negli ultimi anni un accerchiamento intollerabile che si è concretizzato con la progressiva espansione della Nato che, con la minacciata adesione dell’Ucraina, si sarebbe allargata fin ben all’interno delle frontiere dell’ex Unione Sovietica. Se vogliamo evitare la catastrofe dobbiamo oggi dissociarci dalla logica implacabile della guerra.

Pur condannando l’aggressione russa all’Ucraina occorre quindi rifiutarsi di mettere l’elmetto e di schierarsi con la Nato come vorrebbero i vanagloriosi leader dell’Occidente, mettendo definitivamente in archivio ogni dialogo. Se un intervento militare dell’Occidente in Ucraina appare oggi folle e impensabile, occorre anche scongiurare l’instaurazione di un clima permanente di scontro fra Est e Ovest.

Per prima cosa occorre che le armi tacciano. E occorre tutelare le popolazioni civili che, come sempre accade, sono le prime e principali vittime degli eventi bellici. Va scongiurato ogni allargamento del conflitto. Le sanzioni minacciate, in particolare, minacciano di trasformarsi in un boomerang e la garanzia della pace è legata allo sviluppo delle relazioni economiche e dell’interscambio commerciale. Altrimenti le uniche industrie destinate a prosperare sono quelle degli armamenti, la cui prosperità verrà fatalmente a coincidere con la distruzione del genere umano.

Occorre poi mettere mano alle radici di fondo del conflitto che sono lo status del Donbass e la neutralizzazione dell’Ucraina. Si tratta dei problemi che costituiscono le cause di fondo del conflitto. Il primo si è determinato a seguito del rovesciamento violento del governo Yanukovich coi cosiddetti moti di Maidan del febbraio 2014 e l’emarginazione della consistente minoranza russofona, che è pari al 25% del complesso della popolazione ucraina e largamente maggioritaria proprio nel Donbass. La soluzione del problema è stata a lungo perseguita mediante i cosiddetti Accordi di Minsk, sotterrati dalla decisione russa di riconoscere le Repubbliche indipendenti del Donbass ma, prima ancora, dal boicottaggio ucraino.

Il secondo tema, quello della neutralizzazione dell’Ucraina, è ancora più importante dato che la Russia ha subito per oltre trent’anni l’espansione verso Est della Nato, avvenuta in aperto dispregio degli impegni assunti dall’Occidente nel momento della riunificazione della Germania. Da questa espansione è nata la legittima preoccupazione della Russia, che paventava l’installazione dei missili nucleari della Nato sul territorio ucraino, preoccupazione peraltro amplificata dagli irresponsabili proclami di Stoltenberg e altri leader occidentali sul diritto dell’Ucraina a scegliersi i propri alleati.

Uno spiraglio positivo pare oggi aprirsi colla dichiarazione del portavoce del presidente ucraino, forse purtroppo tardiva, di accettare la neutralizzazione dell’Ucraina a condizione di ottenere le garanzie della propria sicurezza e anche coll’invito del presidente ucraino Zhelensky, che ha chiesto un negoziato a Putin. Invito che quest’ultimo pare sia fortunatamente disposto ad accogliere.

Non estendere la visuale e l’analisi ai citati problemi di fondo, focalizzandosi solo sulla reazione russa di questi giorni, per quanto a sua volta illegittima, significa compiere un’operazione intellettualmente disonesta, politicamente infruttuosa e del tutto negativa sul piano dei suoi effetti pratici sul bene fondamentale della pace che abbiamo tutti a cuore.

Enunciando la dottrina dell’autodeterminazione dei popoli, le cui conseguenze sullo status dell’Ucraina sono state ingiustamente criticate da Putin qualche giorno fa, il grande leader bolscevico Vladimir Lenin aveva ben chiaro che gli interessi dei popoli e delle classi lavoratrici coincidono fra di loro. Un insegnamento oggi più che mai necessario per affermare le indispensabili ragioni della pace dei fronte ai complotti dei mercanti d’armi, dei burocrati della guerra, dei leader nazionalisti e degli imperialisti di ogni genere.

Per risolvere la crisi occorre urgentemente una Conferenza di pace che affronti il tema della sicurezza dell’area. Di fronte al nullismo dei governanti europei va a mio avviso apprezzata la posizione concreta di quelli cinesi, i quali invitano tutte le parti alla moderazione affermando la necessità di “un concetto di sicurezza comune, globale, cooperativo e sostenibile e per salvaguardare il sistema internazionale con l’Onu al centro” e che stanno operando fattivamente per la pace.

Quel che è certo è anche che è tempo che sorga, sulle ceneri della Nato, un soggetto politico autonomo europeo in grado di inserirsi in modo costruttivo nella nuova realtà internazionale multipolare.

*Giurista internazionale, da ilfattoquotidiano.it

 

 

 

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G7, la Nato non basta più

MONDO E BISOGNO DI PACE

Al mondo multipolare serve cooperazione pacifica

Biden Putin 350 minIl vertice del G7 in Cornovaglia ha fatto riemergere un interrogativo di fondo: come si governa il mondo multipolare di oggi?
Il Presidente americano Joe Biden è arrivato nella suggestiva penisola britannica con due obiettivi: ricostituire l’Alleanza atlantica fra Usa ed Europa messa clamorosamente in discussione dai quattro anni di Trump e ricostituirla in funzione anticinese. Gli Stati Uniti sono angosciati dallo sviluppo economico della Cina e anche dal suo espansionismo politico in Africa, unito a quello economico verso l’Europa che va sotto il nome di “nuova via della seta”.

I timori di Biden e quelli europei
Gli europei, dal canto loro, sono più preoccupati dall’attrito con la Russia di Putin, rimasta una superpotenza nucleare di tutto rispetto. L’estensione della Nato verso est, con l’ ingresso di ben 14 paesi dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Urss, ha rinfocolato il nazionalismo russo che ha subìto come un onta la deminutio capitis del ridimensionamento dell’ex impero sovietico nel vecchio continente e su scala globale; perciò, in questi anni putiniani, la Russia non ha perso occasione per prendersi delle rivincite in Georgia, in Crimea e in Ucraina e in Medio Oriente a sostegno del siriano Assad. In questo quadro di revanche, Putin conduce contro l’Europa un’azione di interferenza informatica e politica in vari paesi oltre a magnificare la superiorità della sua virile “democrazia illiberale” su quella liberale europea debole ed effeminata. Cosa che ha fatto anche con gli Stati Uniti, favorendo la destra trumpista.
Nel mondo globalizzato, invece, la questione climatica e ambientale e il diffondersi del Covid 19 – fenomeni tra loro connessi come ha ammonito papa Francesco – spinge a una cooperazione globale, specialmente economica e sanitaria, le singole potenze continentali, l’Unione europea e gli altri stati per fronteggiare l’una e l’altro. C’è da osservare che il virus pandemico è stato il vero agente esogeno che ha messo in crisi la globalizzazione capitalistica di segno neoliberista. Cosa che non era accaduta con la crisi finanziaria del 2008 nonostante gli sconquassi socioeconomici provocati.

Il dossier dei diritti umani
E’ tradizione della politica estera americana a gestione democratica di mettere avanti, quando si vuole contrastare potenze avversarie – oggi la Cina illiberale ma neoliberista e globalista di Xj Jiping o la Russia dell’autocrate Putin – il rispetto dei “diritti umani”, comprensivi di quelli democratici scritti “Dichiarazione universale dei diritti umani” approvata dall’Onu nel dicembre del 1948. Anche nel novecento, durante la “guerra fredda” e dopo, al tempo del confronto globale con il campo comunista guidatoXi Jinping 360 min dall’Urss, gli Usa fecero spesso ricorso a questa formulazione. Chiedevano all’Urss, alla Cina e ai paesi anticoloniali di rispettarli, ma nel proprio campo quel rispetto – vedi la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, la Grecia dei colonnelli, il Cile di Pinochet, le dittature del centro America ecc. – non era molto osservato.
Il fatto è che il mondo è multipolare. Pretendere di governarlo mettendo in prima linea i diritti umani o la democrazia di stampo occidentale è sbagliato e pericoloso. E anche ipocrita: vedesi quel che succede in Ungheria, Polonia, Slovacchia ecc., per non parlare della Turchia aderente alla Nato e anche quel che è successo negli States con Trump. Il tema dei “diritti umani”, inscindibile da quello della democrazia, esiste, eccome. Ed è sentito soprattutto da chi si batte per un mondo di liberi ed eguali dove sia bandita ogni oppressione e ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma si risolve con una lenta maturazione interna ai paesi, alle culture, alle civiltà, alle religioni di paesi diversissimi per storia e condizione sociale che compongono l’orbe terracqueo.

Cooperare è meglio che competere
Per far maturare queste condizioni nelle specificità proprie di quei paesi e di quelle civiltà, l’arma più efficace è la cooperazione paziente e multilaterale che, in Africa per esempio, risarcisca quei popoli in qualche modo dei lasciti del colonialismo e li liberi dal neocolonialismo che li sta devastando insieme al Covid 19. Pensare di esportare con la forza la cosiddetta “civiltà occidentale” e il suo modello di democrazia sarebbe cretino – così come lo era ieri l’esportazione della rivoluzione socialista o antimperialista sostenuta da alcuni settori rivoluzionari – se non fosse più prosaicamente l’usbergo dietro di cui in passato si sono nascosti robusti interessi economici e più in generale neocolonialisti e geo politici.
La conseguenza delle “esportazioni” è la guerra fredda o calda che sia, locale o di area vasta (vedi Medio Oriente), col pericolo sempre incombente dell’olocausto termonucleare. Ovviamente, a pratiche aggressive di varia natura di alcune potenze come la Cina e la Russia occorre non porgere l’altra guancia, ma senza chiusure. E se la Cina lancia un piano d’investimenti miliardario per la “nuova via della seta” è comprensibile la risposta di Biden con un piano altrettanto miliardario. Ma sarebbe ancor meglio cooperare che competere, anche se a suon di miliardi.

Perciò la risposta all’interrogativo iniziale è: cooperazione pacifica. Questo non vuol dire tralasciare o nascondere la questione dei “diritti umani”, significa solo affrontarla – come comunità internazionale e non come singole potenze – in modo equilibrato attraverso una serie di azioni, pressioni politiche e diplomatiche ovunque essa si manifesti, a iniziare dai paesi dell’Europa e dell’America. Mettendo in primo piano l’inveramento della Dichiarazione del 1948 sottoscritta all’unanimità dai paesi aderenti all’Onu.

Le sfide globali
Nella seconda metà del novecento, al tempo del mondo bipolare segnato dai blocchi politici-ideologici-militari contrapposti, venne avanzata dall’Urss kruscioviana l’idea della coesistenza pacifica innervata dalla distensione e dal disarmo atomico ma basata anche sulla competizione fra i due sistemi economici, capitalista e a pianificazione socialista, al fine di evitare lo scontro termonucleare. Ci furono varie interpretazioni della coesistenza, ma quella più avanzata la vedeva come la cornice indispensabile dentro cui far avanzare processi di liberazione e indipendenza nazionale sia all’est che all’ovest. Tutto il contrario dello Status quo.
Oggi non si tratta più di coesistere ma di collaborare per affrontare le grandi questioni globali ambientali e sanitarie che affannano l’umanità e la minacciano. Serve – come prospettò profeticamente nel 1975 Enrico Berlinguer nel mondo bipolare di allora – una sorta di “governo mondiale”.
Qualcosa che operando nella cornice dell’Onu riformata e potenziata, sopravanzi alleanze di ogni genere e di tutti i tipi, compresa quella Atlantica.

20 giugno 2021

 

malacoda 75

Aldo Pirone, redattore di malacoda.it

 

 

 

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E' nato a Pontecorvo un nuovo comitato di "Possibile"

  • Pubblicato in Partiti

Possibile 350 minda Possibile - E cinque, mentre gli altri partiti registrano una emorragia di iscritti, domenica sera a Pontecorvo è nato un nuovo comitato Possibile in provincia di Frosinone: il quinto dopo quelli dell’alta Ciociaria, di Frosinone città, di San Giovanni Incarico e San Giorgio a Liri. Da subito impegnato nella campagna elettorale per Liberi e Uguali (la lista guidata da Grasso che collega proprio Possibile a Sinistra Italiana e MDP – Articolo 1) il neonato comitato è intitolato al colonnello "Giovan Francesco Sparagana": uno tra i maggiori esponenti del risorgimento Pontecorvese che diede vita all'indipendenza dallo stato pontificio e alla proclamazione della Repubblica di Pontecorvo, forse il tentativo più importante di costruire una Repubblica laica e indipendente, dopo secoli di domini stranieri.

“Inizia – spiega il portavoce del comitato Davide Luzzi - una campagna elettorale estremamente difficile. Fortunatamente siamo partiti con il piede giusto: c’era tanta gente e voglia di partecipare questa sera nel dibattito in cui si sono presentati la candidata alla Camera dei Deputati nel collegio Uninominale di Cassino e del sud Lazio Sandra Penge, e il candidato, sempre alla Camera, nel collegio plurinominale della provincia di Frosinone Gianmarco Capogna”.
“A Pontecorvo – prosegue un determinato Luzzi - io e tanti altri, abbiamo deciso di costruire un percorso di valori chiari, basato sulla competenza e sulla passione. Abbiamo superato lo steccato e siamo decisi a proseguire per costruire la nuova politica per il futuro del paese. Da qui partirà la nostra proposta che sarà alternativa e innovativa rispetto alle politiche viste fino a oggi. Abbiamo dalla nostra la maturità e la competenza adeguata per dare risposte serie al paese.

Cominciamo sin da subito ancorando il nostro Comitato ai valori del lavoro, della solidarietà sociale, dell'uguaglianza e della libertà”.
“Vogliamo – concludono dal neonato comitato pontecorvese del partito guidato da Pippo Civati - condurre il nostro paese fuori dagli schemi restrittivi di una politica della spartizione. Non è necessario evidenziare quanto la politica Pontecorvese sia scesa in basso. Nessun piano di sviluppo, nessun progetto teso al progresso, tasse aumentate, degrado ambientale, cattiva gestione della spesa corrente, assenza di coraggio politico nel fare scelte antipopolari ma necessarie a alimentare la crescita nel medio - lungo periodo.
Siamo convinti che questa scelta radicale sia una sfida importante e decisiva, ma è una battaglia che bisogna combattere soprattutto per i più giovani, intrappolati in un tempo che gli ha negato il presente e li allontana dalla possibilità di costruirsi un futuro. Vogliamo rappresentare il progresso sociale contro ogni forma di regressione fascista, razzista e xenofoba. Noi siamo la Sinistra che crede Possibile essere Liberi e Uguali"

Comitato Possibile per Liberi e Uguali “Sparagana” di Pontecorvo

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E' nato il Comitato di Coordinamento Democrazia Costituzionale

Nocontroriforme 350 260dal Comitato locale promotore del CDC di Frosinone - Inviata al Coordinamento Democrazia Costituzionale la lettrea che comunica la costituzione del COMITATO LOCALE PROMOTORE DEL CDC DI FROSINONE, che include provvisoriamente solamente alcune Componenti nella prospettiva di includere tutte le organizzazioni politiche e associative che, a motivo dei tempi assegnati (12 febbraio 2016) non è stato possibile coinvolgere. Resta ferma la precisa volontà di collaborare con altri Comitati territoriali anche al fine di una unificazione. Attualmente fanno parte del Comitato Locale Promotore le seguenti Componenti: ANPI – Azione Civile - Comitato Provinciale di Frosinone in Difesa della Costituzione - Democrazia Atea - Partito Comunista dei Lavoratori – Prima Ceprano - Partito Comunista d’Italia – Rifondazione Comunista – Sinistra e Lavoro.

Il Comitato Locale Promotore del CDC di Frosinone si costituisce e aderisce al COMITATO PER IL NO alla riforma della Costituzione e al COMITATO PER IL SÌ all’abrogazione della legge elettorale.
Nella Provincia di Frosinone ci sono 91 comuni e il Comitato Locale Promotore, potendo operare su molti comuni, prevede di essere in grado di raccogliere circa 2.000 firme.
Il referente del Comitato Locale Promotore del CDC di Frosinone sarà Dionisio Paglia.

Comitato Locale Promotore del CDC di Frosinone
Dionisio Paglia
E-mail
Telefono 3477565990

Frosinone, 10 febbraio 2016

 
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