Ucraina o Taiwan, questo il dilemma

Stefano Rizzo

ByStefano Rizzo

28 Febbraio 2024
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Già 15 anni fa Obama voleva un perno strategico verso l’Asia


di Stefano Rizzo

Ucraina o Taiwan, questo il dilemma. Immagine di copertina Da X @Batalladeideas ingresso delle truppe meccanizzate russe a Lastochkyne, a ovest di Avdiivka, il 26 febbraio 2024.
Ucraina o Taiwan, questo il dilemma

UCRAINA. Dopo la presa di Avdiivka o, meglio, delle rovine di ciò che era Avdiivka, da parte dei russi e l’ulteriore avanzata dell’esercito di Mosca verso est, si intensificano sulla stampa e tra gli specialisti le previsioni su cosa succederà adesso e come dovrebbero rispondere i paesi occidentali — Stati Uniti e Unione Europea in testa — che sostengono gli ucraini nella loro lotta contro l’invasore russo.

Già in autunno dello scorso anno, di fronte all’evidente insuccesso della famosa controffensiva ucraina preparata per molti mesi (mesi in cui al contempo i russi si erano fortificati sulle loro posizioni), l’ex capo di stato maggiore americano generale Mark Milley aveva previsto che nella primavera del 2024 sarebbero giocoforza iniziate le trattative tra le parti per porre fine ad una guerra che si prevedeva bloccata.

L’amministrazione americana aveva resistito a questa eventualità ritenendo che una vittoria totale da parte dell’Ucraina fosse ancora possibile e per questo aveva annunciato lo stanziamento di altri 60 miliardi di dollari in forniture militari per contrastare la crescente superiorità russa in termini di uomini e di armamenti.

Nella guerra di trincea che si era ormai instaurata ciò che era indispensabile — e incominciava drammaticamente a scarseggiare — era la disponibilità di obici di artiglieria che i russi sparavano ad un ritmo sette volte superiore a quello degli ucraini.

Come che sia, a fine febbraio le forniture promesse dagli americani non si sono materializzate. I repubblicani che controllano la camera bassa hanno dapprima legato i connessi stanziamenti ad un pacchetto di investimenti per proteggere il confine meridionale dall’ “invasione” di migranti; ma poi, anche quando i democratici si sono detti disposti a draconiane misure per arginare l’ondata migratoria, si sono tirati indietro continuando a bloccare i finanziamenti per l’Ucraina.

A gennaio sembrava che un accordo fosse stato raggiunto, ma è intervenuto Trump, che ormai controlla con pugno di ferro il partito repubblicano, e l’ha fatto saltare. La ragione? A lui conviene che la crisi migratoria non venga risolta e che gli elettori a novembre diano la colpa a Biden.

Quanto all’Ucraina, ben si conoscono le sue simpatie filorusse… Ma non è solo l’opportunismo e il cinismo di Trump a determinare l’attuale orientamento dell’establishment politico-militare americano.

Questa dell’Ucraina è una guerra in cui — come succede spesso — tutte le previsioni iniziali sono saltate.

Non solo i russi hanno clamorosamente sbagliato, non prevedendo la resistenza ucraina e l’appoggio degli occidentali, pensando di risolverla in poche settimane con una “operazione militare speciale”, ma anche gli occidentali, e in primo luogo gli americani, hanno clamorosamente sbagliato nel non prevedere la determinazione del regime russo nel perseguire i propri obbiettivi, la tenuta dell’economia russa che avrebbe dovuto essere piegata dalle durissime sanzioni, la capacità del governo di trovare canali di approvvigionamento alternativi a quelli bloccati e, insomma, assicurarsi un arco di tempo medio-lungo per continuare il conflitto.

Per contro, a causa delle inadempienze degli alleati occidentali, soprattutto gli americani ma anche gli europei, che non hanno tenuto fede alle promesse continuamente reiterate, l’Ucraina si trova oggi a corto di materiale bellico.

Alla scarsità di armamenti si aggiunge quella di personale militare. Ormai i soldati ucraini combattono da due anni senza riposo e oggi sono impantanati in una guerra di trincea sotto continui bombardamenti estremamente letali e stressanti sul piano fisico e psicologico. Mancano le riserve.

Ucraina o Taiwan, questo il dilemma  @MilitaryLand.net Pezzo di artiglieria 2S22 Bohdana 4.0 della 47a brigata di artiglieria ucraina in azione, febbraio 2024_400
Ucraina o Taiwan, questo il dilemma @MilitaryLand.net Pezzo di artiglieria 2S22 Bohdana 4.0 della 47a brigata di artiglieria ucraina in azione, febbraio 2024_400

Ci vorrebbero almeno 400.000 truppe fresche e una nuova leva abbassando l’età per la chiamata, ma l’opinione pubblica ha perso una parte dell’entusiasmo iniziale, è meno disposta a mandare i propri figli in trincea, e la tenuta del governo di Vladimir Zelensky appare incerta.

Per il momento ha messo da parte la nuova leva e si è limitato a cambiare i vertici militari. Ma lo stallo continuerà dal momento che è altamente improbabile che nell’anno elettorale americano, con l’avversione repubblicana a nuovi aiuti, vengano deliberati gli stanziamenti promessi, così come è improbabile che il contributo finanziario europeo, pure molto ingente (55 miliardi di euro), possa avere a breve un effetto sulla situazione sul campo.

Da parte americana è iniziato quindi un riesame degli obbiettivi realistici da perseguire in questa nuova situazione.

La previsione del generale Milley sta prendendo corpo sottotraccia negli ambienti militari e di politica estera: bisogna prendere atto della situazione, incominciare a trattare una soluzione accettabile per l’Ucraina, porre fine a questa guerra in Europa per concentrarsi su quella in Medio Oriente e, soprattutto, prepararsi per la possibile guerra futura in Asia.

Il problema incomincia ad essere, anche per gli americani, quello delle risorse limitate. Il bilancio della difesa degli Stati Uniti è di circa ottocento miliardi di dollari, dieci volte superiore a quello della Russia, ma non è illimitato.

La necessità di finanziare un enorme dispositivo militare costituito da settecento basi all’estero, sette flotte oceaniche, quasi tre milioni di soldati, e allo stesso tempo finanziare nuove tecnologie e sistemi d’arma, obbliga anche il Pentagono a distribuire le proprie risorse in base a considerazioni di priorità strategica.

E qui entra in gioco la Nato.

Non è soltanto Trump ad avere detto (quando era presidente) che è “obsoleta” e a chiedere che gli europei contribuiscano in misura maggiore alla propria difesa minacciando — è notizia di questi giorni — di venire meno agli impegni della difesa comune.

Sono venti anni almeno (dai tempi di Bush figlio) che vari presidenti dicono la stessa cosa, seppure in modo meno brutale.

Per gli europei non è tanto questione del quanto, ma del come. Complessivamente i quattro maggiori paesi dell’Unione (Germania, Francia, Italia, Spagna) spendono già adesso circa il doppio della Russia per la difesa (165 miliardi di dollari contro 85 miliardi dei russi); se aggiungiamo la spesa degli altri paesi “minori” si arriva a oltre 250 miliardi, più o meno quanto spende la Cina per le proprie forze armate.

Il problema ovviamente è che tutti questi soldi vengono spesi per finanziare gli eserciti nazionali così che la cooperazione tra i vari paesi si riduce alla messa in campo di alcuni battaglioni di pronto intervento e al coordinamento nello sviluppo e produzione di alcuni sistemi d’arma.

Insomma, già adesso, se lo volessero, i paesi europei potrebbero provvedere alla propria sicurezza nei confronti di un avversario temibile come la Russia, che tuttavia con la guerra di Ucraina ha mostrato gli evidenti limiti quantitativi e qualitativi delle proprie forze armate.

Non sorprende quindi che nell’establishment di politica estera e militare americana si venga affermando la tesi secondo la quale gli Stati Uniti dovrebbero diminuire la loro presenza nel vecchio continente lasciando agli europei — che dopotutto ne hanno le risorse — il compito di difendersi e concentrandosi verso l’Asia e le “sfide” rappresentate dall’assertività cinese su Taiwan (e non solo).

Già un quindicennio fa Barack Obama aveva annunciato questo “pivot” strategico verso l’Asia, ma non era riuscito a realizzarlo perché ancora impantanato nella guerra afgana e nella prosecuzione della guerra al terrorismo in Medio Oriente.

Chiunque sarà il prossimo presidente americano e comunque finirà la guerra in Ucraina, questa tendenza a lasciare lo scacchiere europeo continuerà. Per l’Unione europea è arrivato il momento di fare sul serio per la propria difesa.

Immagine di copertina: Da X: @Batalladeideas ingresso delle truppe meccanizzate russe a Lastochkyne, a ovest di Avdiivka, il 26 febbraio 2024.

27 Febbraio 2024


fonte da ytali.com

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Stefano Rizzo

ByStefano Rizzo

Stefano Rizzo. Giornalista, romanziere e saggista specializzato in politica e istituzioni degli Stati Uniti. Già Sovrintendente dell'Archivio storico della Camera dei deputati, ha insegnato per diversi anni Relazioni internazionali all'Università di Roma "La Sapienza". E’ autore di svariati volumi di politica internazionale: Ascesa e caduta del bushismo (Ediesse, 2006), La svolta americana (Ediesse, 2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (Nuova Cultura,2009), Le rivoluzioni della dignità (Ediesse, 2012), The Changing Faces of Populism (Feps, 2013). Ha pubblicato quattro volumi di narrativa; l’ultimo è Melencolia (Mincione, 2017)

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